L’inizio dell’amore e’ spesso simultaneo. Non così la fine:da ciò nascono le tragedie.
Di Alessandro Morandotti
Io non so parlar d’amore, come cantava anche Celentano, ma l’aforisma citato trova spiccate analogie con la gara: “L‘inizio della gara è sempre simultaneo. Non così la fine: da ciò nascono le classifiche.“
Eppure quei due momenti, l’inizio e la fine, pur non essendo entrambi simultanei, sono uguali un po’ per tutti i nuotatori; sono due istanti, nel senso letterale del termine, che racchiudono tra di loro l’intera prestazione, e si chiamano partenza e arrivo. La partenza è quel momento carico di tensione, quando il ballo di gruppo che eleva tutti i concorrenti al livello del blocco, regolato dal ritmo dei fischi del giudice, si arresta: tutti fermi. Il giudice dice A POSTO (o nelle competizioni internazionali TAKE YOUR MARKS) e da lì trascorrono alcuni interminabili eterni secondi prima che gracchi il via.
Quegli attimi, quando tutti gli atleti della batteria sono disposti a testa in giù, aggrappati allo spigolo anteriore del blocco, caricati sulle gambe, sembrano eterni. Si tratta generalmente di pochi secondi, un paio, dipende dalla giuria di gara. Ma a te che sei lì sembra ti scorra davanti l’intera esistenza: silenzio, tutte le energie sono dietro i padiglioni auricolari, pronte a captare il via, quel via che farà esplodere la potenza dello stacco.
La mente umana ha delle potenzialità incredibili, riesce a filtrare i rumori e ignorare tutto ciò che è diverso dal beep che si sta attendendo. Intanto tu sei ancora lì, piegato, col sangue che va alla testa e quel goccio di acqua che hai bevuto mezzora fa tenta la risalita; se poi hai mangiato anche mezzo biscotto sei finito: o mi date il via o vomito, mi vien da riprendere gli starter più lenti. Invece guai a distrarsi, che un secondo in più sul blocco è una gara un secondo più lenta. Poi l’ingresso in acqua, l’impatto con l’acqua, l’abbassamento di temperatura corporea e a seguire la gara. Nuoti nuoti nuoti fino a che … eccola là: la parete, ammantata di giallo, rivestita di quella membrana a strisce verticali in rilievo che è la piastra, pronta ad attenderti, a registrare il tuo arrivo. Non importa quanto affaticati si pervenga, alla piastra spetta sempre una potente pacca, quasi fosse colpa sua se, da quando è suonato il beep, ci abbiamo impiegato tutto quel tempo, e soprattutto tutta quella fatica, ad arrivare fin lì da lei.
Se lo merita quel sonoro ceffone, è rimasta ferma, senza fare niente per venirci incontro, per alleviare il nostro sforzo. Magari nei giri intermedi si è anche beffata di noi, dandoci l’illusione di essere lì ad attenderci, col suo colore evidente, facendoci credere che la fine fosse vicina, offrendoci un soffice (rispetto al muro) contrasto per ripartire per la successiva frazione. E immediatamente dopo la pacca, lo sguardo al partner della piastra: il signor tabellone elettronico, che spesso sembra giocare a nascondino, e a volte si lascia trovare recando sorprese sgradite, altre con notizie entusiasmanti. Questi due momenti sono comuni a tutti i nuotatori: giovani e meno giovani, agonisti e master, uomini e donne, velocisti e fondisti.
Unica eccezione i dorsisti per i quali la visione è tutta a rovescio.