In questa società, resa ancora più competitiva dalla crisi, troppo spesso madri e padri riversano le loro frustrazioni sui figli che praticano sport. Ecco il decalogo per un corretto sviluppo psicomotorio dei ragazzi
Il trevigiano Silvio Maras costringeva il figlio, notizia da prima pagina di numerose testate di questi ultimi giorni, giovane promessa del nuoto, a subire continue pressioni psicologiche e allenamenti particolarmente intensi e, non pago, gli imponeva di assumere grandi quantità di integratori proteici, creatina e aminoacidi ramificati, al fine di migliorarne le prestazioni. Complimenti e premi se vinceva, parole dure e maltrattamenti se perdeva. Parte una denuncia da parte di amici e parenti: il tribunale toglie la patria potestà a entrambi i genitori, patteggia con il padre aguzzino due anni di detenzione e il ragazzino viene affidato ai servizi sociali. Forse si tratta di un caso estremo, ma se ci capita di assistere a qualche competizione sportiva giovanile di qualsiasi disciplina, non possiamo evitare di accorgerci come frotte di mamme e papà amorevoli e normalmente perbene, riescano a trasformarsi, abbarbicati alle reti di un campetto di calcio o scompostamente seduti sulle tribune di un palazzetto, in fanatici urlatori che insultano tutto e tutti, compresi i propri figli, se le loro performance non corrispondono alle loro aspettative. E così lo sport che per i giovani è soprattutto passione, socializzazione e divertimento, diviene solo fonte di ansie, paure, tensioni per timore di non soddisfare le ambizioni del loro principale punto di riferimento, la famiglia.
GENITORI IN VERSIONE ULTRAS — Questi spettacoli, non certo edificanti, sono in genere offerti da adulti che nel loro passato giovanile hanno avuto ben poco a che fare con lo sport o che, perché poco dotati, a loro volta sono stati pressati da genitori altrettanto esigenti. Madri e padri che riversano sul figlio tutte le frustrazioni e le insoddisfazioni collezionate nel corso della vita precedente la sua nascita e che tramite il figlio vivono un prolungamento della loro personalità, in termini di aspirazioni realizzate attraverso la loro riuscita. E così se si ritrovano un piccolo atleta un po’ dotato, ecco che pretendono da lui che diventi un Pirlo o una Pellegrini, quando si sa che, se va bene, solo uno su cinquantamila vedrà mai scritto il suo nome su un qualsiasi palmares. Ma può anche accadere che il piccolo faccia una gran fatica e sia scarso. Situazione, per altro, molto comune e affatto disdicevole. Ma in questa società così competitiva siamo talmente abituati all’idea di eccellenza che, quando si verificano situazioni non proprio ottimali, tendiamo subito a sminuirle ulteriormente. Se un bambino di appena sei anni non fa mai canestro, allora non sarà mai un campione. Ciò è quanto pensano molti adulti quando il rendimento dei loro generati non risponde alle loro aspettative più o meno manifeste. Genitori che non hanno capito che con l’allenamento e la costanza si assiste spesso a miglioramenti impensabili e, soprattutto, che se il figlio è contento di essere lì e svolgere quello specifico sport, non devono di certo essere i genitori a insinuare insicurezza, dubbi o paure. Se si divertono e si fanno nuovi amici correndo e saltando, capendo cosa sia il lavoro di gruppo, responsabilizzandosi e crescendo con sani principi e in salute, perché levare loro questa possibilità, solo per un atto egoistico di chi, prima di loro, non è riuscito a conseguire le gratificazioni tanto agognate. Insomma, i genitori devono imparare a vivere lo sport in modo tranquillo e sereno, rendendo l’agonismo un oggetto interessante e piacevole, ricordando che si tratta sempre e comunque di un gioco. Il genitore utile allo sport… e allo sviluppo psichico e motorio del figlio.
IL DECALOGO — Ora riassumeremo, in una sorta di decalogo, i comportamenti e atteggiamenti che ogni genitore dovrebbe assumere, seguendo le linee guida di psicologia sportiva attuali, in modo che possano rendere l’attività sportiva del proprio figlio il più efficace, divertente e soddisfacente possibile.
- I genitori, conoscendo e capendo il proprio figlio per le qualità, i limiti, le intenzioni, i desideri, i bisogni, gli errori e gli insuccessi devono stimolare e incoraggiare la pratica sportiva, lasciando che le scelte e i ritmi dell’attività siano condivisi e accettati dai figli.
- I genitori stimano il figlio nonostante gli errori e i limiti, cercando di non sottolineare più del dovuto una gara mal riuscita ed evitando nel modo più assoluto rimproveri, perché producono solo ansia da prestazione.
- I genitori devono incitare i figli a migliorare, facendo capire che l’impegno negli allenamenti sarà una futura fonte di soddisfazioni. Devono evidenziare i miglioramenti, sdrammatizzando gli aspetti negativi e incoraggiando quelli positivi.
- I genitori devono aiutare i figli a stabilire tappe e obiettivi realistici e adeguati alle loro reali possibilità.
- I genitori devono fare capire che saper perdere è difficile, ma che nel contempo è più importante che saper vincere, perché nello sport, così come nella vita, il più delle volte non si vince. L’importante dopo una caduta è rialzarsi.
- I genitori devono tener conto che l’attività sportiva è svolta da bambini e non da adulti e che i compagni e gli avversari dei propri figli sono anche loro bambini da rispettare e, come tali non si devono offendere con paragoni o giudizi di qualsiasi genere.
- I genitori devono trasmettere i concetti di rispetto delle regole, di rispetto dei compagni e degli impegni, collaborando al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dagli istruttori e dalla società.
- I genitori devono stimolare la crescita del proprio figlio, sviluppando lo sviluppo della sua indipendenza ed evitando di essere onnipresenti in tutte le situazioni.
- I genitori non devono interferire nelle scelte tecniche e nelle decisioni degli istruttori. Devono imparare e insegnare a rispettare il ruolo dei tecnici e a collaborare con loro, evitando di esprimere rimostranze o critiche.
- I genitori devono rispettare le votazioni dei giudici o arbitri, che devono essere assolutamente insindacabili, seppure talvolta sbagliate.